Lo ZEN e il Gioco del Rugby – Jacques Brunel in visita a Palermo

2013-04-18 19.21.18Metto su camicia e maglione, di corsa pure. Maglione? Si, almeno nascondo la camicia stropicciata, ché a stirarla ci voleva troppo tempo, tempo che non ho.

A Palermo fa già caldo come d’estate e sono a piedi: al profumo di gelsomino e fiori d’arancio fa da contrappunto quello dei cumuli di spazzatura. Palermo, di una bellezza incompiuta, e poi giù a passo svelto organizzando gli ultimi aspetti della vicenda: arriva Jacques Brunel.

Ha l’aria di essere spaesato, io più di lui, in un certo senso siamo entrambi due stranieri in città. L’inizio lo si deve al posteggiatore: lui, che non sa chi diamine sia Jacques Brunel, chiede i soldi per il posteggio. Siamo tutti con tagli grandi in tasca, tranne lui, che esce candidamente un euro e qualche spiccio. Ricapitolo: sono di fronte all’uomo che mi ha incollato per ore davanti alla televisione e al pc e adesso sta pagando il posteggio. Benvenuti a Palermo.

Ripenso al silenzio dei prati svizzeri e mi chiedo quanto adesso lui rimpianga della Francia o di Parma o di Treviso, o perfino dell’Acqua Acetosa romana. Siamo a Palermo, monsieur, bisogna farci l’abitudine.

Indicazioni brevi e a tratti imprecise – ammetto – su Piazza Pretoria, i Quattro Canti e infine la Cattedrale. Colpisce di Brunel la sua grande curiosità, fatta di non molte parole, ma di sguardi penetranti, pieni, imbevuti di attenzione. Parla, risponde, domanda. Poi ancora attende e ascolta. Colpisce il modo in cui chiarisce i suoi punti, senza fronzoli, con modi chiari, disquisendo di Nazionale e di Dan Carter e di Michalak con la stessa passione e le stesse parole (al netto del romanaccio) del mio allenatore, che gli siede accanto. Jacques Brunel e Il Secco. Sono due uomini di rugby, due allenatori che condividono l’idea che il rugby sia prima nella testa, poi sia struttura fisica, tattica, tecnica. Il rugby è nella testa.

Vincere il Sei Nazioni? Fare bene al Mondiale? Tutto si può. È nella testa dei giocatori. Sono un bambino per la prima volta alle giostre. A tavola ci sono quasi 80 caps della Nazionale e colui che ha fatto sognare un movimento con implacabile coraggio.

Sono incantato dalla sua capacità di sintetizzare brevemente e con incisività perfino al Sindaco il suo punto di vista: Nazionale a Palermo? Perché no? Ma prima diamo una casa al rugby. Prima voglio vedere una partita nel campo di rugby di Palermo.

La partita lui l’ha vista oggi: l’Under 14 mista Iron Team e Palermo Rugby che si sfidava su un campo risicatissimo perché condiviso con l’Under 12 e l’Under 16, senza avere l’occhio compiaciuto di chi è costretto a guardare il solito spettacolo, ma con l’attenzione del tecnico che ha voglia di vedere un lavoro. Poi ancora l’amarcord di una stagione lontana quando si sfidarono Brunel e Pietro “Roccia” Tramontana. Vinse quest’ultimo, ma Jacques, ridendo, gli ricorda chi vinse quel campionato. A distanza di quasi trent’anni, sembra ci sono ancora due ragazzi che hanno condiviso la voglia di giocare e poi qualche affettato terzo tempo in Francia. Una volta rugbyman, sempre rugbyman.

Quanta umiltà ci vuole per abbassare sempre di un punto il proprio ego? La prima lezione che apprendo da Jacques Brunel allora è questa: lo Zen (anche Zona Espansione Nord, come il quartiere di Palermo) e il Gioco del Rugby, “nessun momento è infelice per restare a guardare un’Under 14 che gioca, perché dovunque sia il divertimento ha casa la palla ovale”.