Esercizio # 11 – Bollicine

La socialità è un bicchiere pieno.

Bere, l’atto di bere, ha – forse a tutte le latitudini – una “sacralità” particolare, è investito di compiti e di interdetti che rendono l’atto del bere dell’alcol, del caffè o qualunque cosa che non sia della semplice acqua – anche l’acqua stessa può essere, in ogni caso, non interamente acqua, se viene caricata di particolari connotazioni – un atto delicato, di alleanza, sfida o gioco. Tondo è il bicchiere, tondo è il mondo, circolare dev’essere la nostra amicizia.

Bere insieme racconta cose, immerge pensieri nel fondo di vetro, poi li affoga di materia che, come tutti i “phàrmaka” – medicine, rimedi – è anche veleno. Avvelenarsi, andare a fondo. E che un bicchiere scacci l’altro, che un bicchiere scacci la paura, le domande, le incomprensioni. Beviamo perché il mondo comprenda noi incompresi. Beviamo perché l’eco dei bicchieri sbattuti vuoti sul tavolo sia l’eco delle nostre risa, la spigliata noncuranza delle nostre parole, la rabbiosa riserva del fumo alcolico che esce ruggente dalla bocca. “A secco!”. Ordine perentorio, sfida di resistenza, gioco dei limiti. E nei bicchieri si riprendono miscele strane, mai uguali nelle proporzioni, ma sempre identificati con nomi terrificanti o rassicuranti, sensuali o apocalittici. Black Napalm, Cuba Libre, French Kiss. Il fuoco invisibile ti brucia la gola, ti fa ridere l’anima, ti fa perdere gli occhi. Chi sei tu?

Nel parlare infine biascicato ci sono brandelli di verità. Chi parla dal profondo gonfio d’alcol? Chi rimette se stesso dal labirinto del Minotauro? Come sciamani caduti in disgrazia, tutti hanno un modo di divinare il proprio fondo oscuro. Lì dove si annidano tutte le nostre animalità, come un buco nero, guardi il tuo buio. E lui guarda te, finché finalmente né l’uno né l’altro hanno più i limiti imposti dal controllo dei tuoi occhi e degli occhi degli altri. Le porte del Tartaro spalancate a fare uscire demoni gioiosi o terribili satiri, centauri iracondi. È una libertà caotica, uno charivari che implode, gorgoglia, si soffoca solo, poi monta ancora ed infine si assopisce sfatto.

Siamo poveri diavoli, in preda alle nostre possessioni.