Proiezione #2 – Concento

Ho dormito bene stanotte, si decisamente. Succede ogni volta che respiriamo l’uno nell’orecchio dell’altra, anche se questo vuol dire farlo tramite un auricolare. Anche il buon giorno è stato puntuale, è la prima cosa a cui pensiamo ancora con gli occhi socchiusi, sapendo che a breve lo potremo dire l’uno negli occhi dell’altra.

Non saprei dire effettivamente quando è cominciato. Potrei dire che effettivamente non è mai finito. E’ rimasto dormiente, mentre il resto sbocciava, cambiava, succedeva, mentre tutto, come un ingranaggio che lentamente ritorna al suo apogeo ma in un’altra posizione – le cose insondabili degli astri, i mirabilia di certi mastri orologiai -, prendeva la conformazione necessaria affinché tutto accadesse. Lei è il sole dell’alba, io quello del crepuscolo. Entrambi siamo luce. Entrambi siamo oscurità, così ci siamo abbandonati alla selvatichezza dello sguardo, alla fame del desiderio, alla necessità di appartenere e di essere appartenuti. Io appartengo. Io appartengo a lei.

Ci apparteniamo. Ci muoviamo in modo assolutamente speculare e allo stesso tempo complementare. Necessari e allo stesso tempo sostegno l’uno dell’altro. Siamo tutto. Tutto. Ingredienti di una magia cominciata non so quando ma che continua ad ammaliarci. Lui è un emozionante imbrunire, capace di scaldarti il cuore con uno sguardo, con un sospiro, con una mano forte e rassicurante che setosa si poggia sull’anima. Mi ha rapita allora e continua a rapirmi ogni giorno con quei gesti che sanno di disattenta poesia.

Non è solo fuoco, no. Il fuoco brucia velocemente, poi, dopo aver arso ogni residuo di vita nel calore di un amplesso, si ritira e infine muore. No. Come un primigenio rilascio di energia nell’universo, dall’espansione calorica e caotica dell’esplosione poietica, tutto si è creato, consolidato, rappreso e poi di nuovo creato, consolidato e rappreso in un cerchio che non ha inizio o fine, ma oscilla, si fonde, esplode di nuovo tra le lenzuola sfatte di giorni innamorati, odorose di umori caldi, ancora cariche di voci sospese, di intenzioni, di interazioni, sempre uguali dai primordi, eppure sempre diverse.

No, non è solo fuoco. Sono, siamo tutti gli elementi condensati in corpi, in sangue, in voce, in emozione. Siamo carnale terra, siamo turbinosa acqua, siamo urlante vento, siamo ardente emozione. Cibo l’uno dell’altra dello spirito e del corpo. Nutrimento necessario e sempre anelato. Il giorno e la notte perdono i loro confini quando cerchi come oasi nel deserto la tua salvezza lontana. Estenuato continui a tenderti verso di essa cosciente del fatto che una volta raggiunta quella proteiforme perfezione tanto sognata, tanto desiderata, tanto voluta, non ti servirà altro. Sarai completo. Sarai te stesso.

Come oceani, come flutti i nostri movimenti si confondono, finché l’una e l’altra natura non abbiano un inizio e una fine, ma sia tutto immerso in un tempo che non ha tempo, il tempo del sogno e del racconto, quando tutte le storie sono possibili e sono bevute e respirate da una bocca voluta che rilegge libri e parole di altri amori, di altri sentimenti che però ci appartengono, come se il mondo cospirasse per noi e nient’altro avesse fatto durante tutto il tragitto di queste vite che si sono incontrate e adesso si tengono come le molecole d’acqua degli oceani, come i flutti placidi di golfi conosciuti, come porti sicuri di luoghi ancora da visitare e sempre presenti in mente in un viaggio che è il lungo viaggio ipnotico di due anime, dervisci uniti in una trance roteante.

Basta prendersi per mano e partire. Saldi l’uno nell’altra scoprire, sperimentare, perdersi curiosi e trepidanti di fronte alla goccia che scivola lenta su una foglia come di fronte ad un’impetuosa cascata, tutto è la nostra magia ed è per noi. Abbiamo tutto.

Proiezioni #1 – Ephraim

Piove che quasi sembra mi piova dentro la testa. Il vento alle persiane sbatte, cercando di raggiungere ogni angolo, frustrato nel tentativo.

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Apro gli occhi. Nel mio letto io esco da una casa di pietra a strapiombo sul mare. Tutto attorno ulivi con le chiome scarmigliate in una posa supplichevole dal vento di anni – quante epoche può raccontare un ulivo? – adesso placido e assopito da un sole estivo, che fa chiazze luminose sulla terra altrimenti nascosta dagli alberi. Germoglia l’erba, sono a piedi scalzi e posso sentire il mondo scorrere insieme a me, umido e rigoglioso, l’acetosella mi accompagna come te in mezzo a questa pace. E’ un’estate di ogni anno della mia infanzia, così come di altri periodi della mia vita e posso sentire l’odore adesso inconfondobile della carne sulla brace. Mio nonno, poi anche l’altro, il secondo come se fosse una presenza immanente, dentro e fuori di me.

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Lipari si appoggia su un mare adesso quasi piatto, che si può vedere, scuro e profondo di blu, dalla scogliera erosa dai marosi. Non so se questa Lipari sia mai esistita, ma lì dove niente è davvero impossibile, questa è Lipari. Al di là di ogni ragionevole dubbio, posso guardarti attraverso il filtro della luce solare. Il tuo sorriso mi racconta ogni parola. Posso ascoltare la tensione della tua pelle, catturata dalla spensieratezza, infine illuminare il verde intenso dei tuoi occhi e dirmi quanto sia bella tu e quest’isola che ci accomuna. Il vulcano scorre tra i tuoi capelli, ti posso sentire tutt’una con le cose della natura, indivisibile, intensa, come se tutto appartenesse e cospirasse della stessa essenza. Un respiro intenso mi cattura e mi porta il mare e ogni desiderio si condensa in una sensazione. So che ci sei e io sono Ephraim, doppiamente fecondo, finalmente lontano dall’Egitto.

Ephraim. Questo nome vedo scritto. Io sono Ephraim. Sono a casa e niente può spostarmi da qui. Mi risveglio con un trillo. Sono ancora lontano, ma ogni giorno è un passo verso il ritorno.

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